Spaceman

E’ il 24 novembre del 2013, una domenica mattina pigra, passata tra un caffè e l’altro, leggendo news da internet, guardando filmati, scrivendo sui social, quando mi imbatto su un articolo del prof. Orsi  (The Quiet Collapse of the Italian Economy) che fa una previsione catastrofica sull’Italia: “Non rimarrà nulla”.

Approfondisco la cosa e trovo un’altro post che circola che smentisce quell’articolo. Il motivo sarebbe che il prof. Orsi è “solo un docente a contratto per la London School Economics”, e quindi le sue parole andrebbero ignorate per mancanza di legittimazione accademica.

Non mi sembra un buon motivo, anzi. Conoscendo il mondo universitario italiano, con i suoi baronati, il suo status fa crescere di molto lo spessore delle sue affermazioni. 

Infatti Orsi parla della nostra economia disastrosa, con un -7% di entrate fiscali, un rapporto deficit/Pil che ha superato il 3%, e un debito pubblico che ha superato la soglia del 130% e non può che peggiorare.

Parla di un governo che risponde con misure miopi come quella che al l’Iva al 22%, innescando un ulteriore spirale inflattiva con relativa depressione dei consumi.
E allora penso “dov’è la bufala?!?!!!”.

Come è vero che per tutta l’estate, i leader politici italiani e la stampa mainstream hanno martellato la popolazione con messaggi di una ripresa imminente.

In effetti, non è impossibile per un’economia che ha perso circa l’8 % del suo PIL avere uno o più trimestri in territorio positivo. Chiamare un (forse) +0,3% di aumento annuo “ripresa” è una distorsione semantica, considerando il disastro economico degli ultimi cinque anni. Più corretto sarebbe parlare di una transizione da una grave recessione a una sorta di stagnazione.
Un altro dato vero è che Il 15% del settore manifatturiero in Italia, prima della crisi il più grande in Europa dopo la Germania, è stato distrutto e circa 32.000 aziende sono scomparseL’Italia ha attualmente il livello di tassazione sulle imprese più alto dell’UE e uno dei più alti al mondo. Questo insieme a un mix fatale di terribile gestione finanziaria, infrastrutture inadeguate, corruzione onnipresente, burocrazia inefficiente, il sistema di giustizia più lento e inaffidabile d’Europa, sta spingendo tutti gli imprenditori fuori dal Paese.
La scomparsa dell’Italia in quanto nazione industriale si riflette anche nel livello senza precedenti di fuga di cervelli con decine di migliaia di giovani ricercatori, scienziati, tecnici che emigrano in Germania, Francia, Gran Bretagna, Scandinavia, così come in Nord America e Asia orientale.

L’Italia è entrata in un periodo di anomalia costituzionale. Perché i politici di partito hanno portato il Paese ad un quasi – collasso nel 2011, un evento che avrebbe avuto gravi conseguenze a livello globale. Il Paese è stato essenzialmente governato da tecnocrati provenienti dall’ufficio del Presidente Repubblica, i burocrati di diversi ministeri chiave e la Banca d’Italia. Il loro compito è quello di garantire la stabilità in Italia nei confronti dell’UE e dei mercati finanziari a qualsiasi costo. Questo è stato finora raggiunto emarginando sia i partiti politici sia il Parlamento a livelli senza precedenti, e con un interventismo onnipresente e costituzionalmente discutibile del Presidente della Repubblica, che ha esteso i suoi poteri ben oltre i confini dell’ordine repubblicano. L’interventismo del Presidente è particolarmente evidente nella creazione del governo Monti e del governo Letta, che sono entrambi espressione diretta del Quirinale.

L’illusione ormai diffusa, che molti italiani coltivano, è credere che il Presidente, la Banca d’Italia e la burocrazia sappiano come salvare il Paese. Saranno amaramente delusi. L’attuale leadership non ha la capacità, e forse neppure l’intenzione, di salvare il Paese dalla rovina. Sarebbe facile sostenere che Monti ha aggravato la già grave recessione. Letta sta seguendo esattamente lo stesso percorso: tutto deve essere sacrificato in nome della stabilità. I tecnocrati condividono le stesse origini culturali dei partiti politici e, in simbiosi con loro, sono riusciti ad elevarsi alle loro posizioni attuali: è quindi inutile pensare che otterranno risultati migliori, dal momento che non sono neppure in grado di avere una visione a lungo termine per il Paese. Sono in realtà i garanti della scomparsa dell’Italia.

In conclusione, la rapidità del declino è davvero mozzafiato. Continuando su questa strada, in meno di una generazione non rimarrà nulla dell’Italia nazione industriale moderna. Entro un altro decennio, o giù di lì, intere regioni, come la Sardegna o Liguria, saranno così demograficamente compromesse che non potranno mai più recuperare.

C’è una certa categoria di giornalisti che pensa di conquistare un posto sull’elicottero che porterà su isole tropicali quelli che stanno svendendo il nostro paese. Non sarà così, o almeno, non ci sarà posto per tutti.

Cosentino fa jogging: l’intervista è di corsa ”Non faccio più politica, mi sono consegnato al giudizio dei giudici. Di politica non voglio più saperne”. Così Nicola Cosentino, intervistato da Valentina Petrini, inviata per il programma ”Piazza Pulita” su La7, che ha raccolto le sue prime dichiarazioni dell’ex sottosegretario Pdl tornato libero dopo gli arresti domiciliari


Un mio vecchio amico direbbe “ne tengo na panza fraceta”. Non riesco a contarle le volte in cui sono stato tradito da questi tribuni dell’ex Pci, che hanno sempre predicato la morale pubblica che corrispondeva inesorabilmente ai vizi privati. Spesso lo hanno fatto anche da postumi. Infatti mi restava solo Enrico, ma tutti i giorni all’ora dei Tg, mi viene ricordato che non si salva davvero nessuno, e che in fondo in fondo Silvio non aveva tutti i torti a chiamarci coglioni. Del senno di poi sono pieni i cimiteri. Mentre scrivo va in scena la farsa dello sciopero generale, fatto da una miriade di sigle sindacali che mai hanno raggiunto e mai raggiungeranno l’unità, nemmeno davanti all’ultimo diritto. Quando li vedo mi faccio sempre la stessa domanda: “perchè Confindustria non si divide in una miriade di soggetti giuridici con diritto vincolante di firma?”. La risposta è sempre la stessa: “perche non sono così stupidi.” “El Pueblo Unido, e i sindacati divisi con possibilità di contrattazione separata” …. da scompisciarsi dal ridere, mi sembra ovvio che a turno verranno presi sottobraccio, ed in piu non saranno mai responsabili delle loro azioni “hanno firmato quelli della Cisl o uil o CGIL o cazzivari”. Mi viene in mente il luccichìo di speranza, colto negli occhi di un vecchio con la barba irta e bianca, la pelle arsa, poggiato all’asta della sua vecchia bandiera rossa con la falce e martello, mentre guarda questi cialtroni che da un palco raccontano la loro verità collusa, fatta di accordi sottobanco, regalìe e prebende, per legare le mani e sedare le rivolte. Moderare, addolcire la pillola, cospargere di vaselina, ecco la loro funzione.
Non pensavo che la facciatosta potesse diventare un professione, ma questa gente l’ha fatta diventare un arte. A partire dal signor “viva e vibbbrante soddisfazione”, il peggiore di tutti i tempi.

“Davigo dice che, dopo Tangentopoli, i politici non hanno smesso di rubare: hanno smesso di vergognarsi“. Marco Travaglio, nel suo editoriale, si dedica alle “ruberie istituzionali” e osserva: “A 6 anni dal boom del libro “La Casta” e dai due V-Day di Grillo, rubano come prima, e più di prima”. Menziona, quindi, le grane giudiziarie di Luigi De Fanis, assessore del Pdl alla Cultura della Regione Abruzzo. E analizza con dovizia di dettagli la sprecopoli italiana e le ruberie sui fondi dei rimborsi politici regione per regione: dall’Abruzzo alla Sardegna fino al Piemonte. Il vicedirettore de “Il Fatto Quotidano” cita gli asciugacapelli per politici pelati, le penne Montblanc, la festa di nozze di Carlo Sanjust messa in conto alla Regione. “E che fanno i partiti?” – chiede Travaglio – “Puniscono i colpevoli? No, di solito li coprono. In Sicilia, ad esempio, invece di rubacchiare, 13 dipendenti della Regione si sono presi 800mila euro di fondi pubblici”. Il giornalista menziona anche Vasco Errani e il suo conflitto di attribuzione in Emilia Romagna, nonché il lucano Marcello Pittella, il fratello del candidato alle primarie del Pd